L’autonomia trentina si trova oggi di fronte a sfide nuove e impegnative. Per cui è del tutto sensato interrogarsi – come ha invitato a fare da tempo il direttore – se essa non abbia assunto un carattere di “provvisorietà”. Il carattere di una realtà che oggi c’è e domani potrebbe scomparire. In realtà oggi non è la ragione profonda della nostra “specialità” ad essere messa in discussione. Qualche giorno fa il ministro Gentiloni giustamente additava la nostra Regione come esempio, come possibile modello di convivenza pacifica tra gruppi linguistici diversi per le regioni orientali dell’Ucraina e per altre situazioni di tensione. Nella situazione drammatica degli scenari mondiali viene dunque rafforzata e non indebolita la ragion d’essere della nostra particolarissima autonomia: la sua capacità di far convivere pacificamente gruppi diversi, custodendone le diverse identità e realizzando strategie cooperative attraverso il metodo dell’autogoverno. La costruzione autonomistica del Secondo Dopoguerra è un capolavoro di convivenza tra gruppi linguistici diversi in un bilanciamento sapiente di minoranze che divengono a certi livelli maggioranze, ma che ad altri livelli devono fare i conti con orizzonti più grandi di loro. Provincia, Regione, Repubblica, Europa.
Se questo è vero, va recuperata questa radice profonda. La tipicità e la forza del Trentino – e del vicino Alto Adige-Suedtirol – stanno nell’essere non un mondo a sé, ma un incrocio tra due mondi: quello tedesco e quello italiano. Non siamo mai stati un “mondo”, così come non siamo mai stati uno “Stato”. Igino Rogger non si è stancato di ricordarlo nel suo insegnamento. Se dobbiamo guardare alla storia e paragonare le nostre tradizioni a quelle dei vicini, sarebbe difficile sostenere che l’”autonomia” del Principato Vescovile di Trento è stata più forte di quella della Repubblica di Venezia, vero e proprio Stato, potenza economica e culturale, modello istituzionale per tutta l’Europa. Le nostre ragioni non riposano su una storia di questo genere. Non abbiamo una grandezza statuale alle spalle. Siamo stati però uno straordinario intreccio tra due mondi – tedesco e italiano – che ha potuto vivere grazie al fatto di avere due polmoni, due culture, due orizzonti non solo linguistici, ma anche giuridico-istituzionali e, perché no?, antropologici. Abbiamo sconfitto l’analfabetismo non perché fossimo un piccolo mondo illuminato da luce propria, ma perché abbiamo avuto la ventura di far parte di un grande mondo sovranazionale come l’Impero degli Asburgo e al tempo stesso stavamo dentro la storia dell’Illuminismo italiano ed europeo. Allo stesso modo abbiamo avuto straordinari capitoli di storia spirituale perché stavamo dentro due mondi teologici e spirituali. E dentro ordinamenti e esperienze giuridiche composite.
Questa è la cosa da mettere in salvo: l’intreccio. Siamo un “uvaggio”, un vino fatto dalla mescolanza di uve diverse. Siamo una relazione, assai più che una sostanza. Questa è la “specialità”. E in questo sta non solo l’eredità di un passato, ma la grande potenzialità nel presente. Non c’è forse disperato bisogno di “ponti”, di “vie di comunicazione”, culturali, economiche, politiche, tra mondo italiano e tedesco nell’Europa di oggi? Non tutto certamente può fare la nostra terra, ma sarebbe assurdo e grave se i Trentini non fossero in prima fila in questo dialogo: “esploratori” alla ricerca di nuove idee e nuove pratiche da riportare al di qua e al di là delle Alpi. Se questo è il punto, allora è fondamentale capire che il rafforzamento dell’autonomia non si ha solo in una contrattazione con Roma – che è doverosa ed è quanto fanno i presidenti delle province, i parlamentari, gli stessi membri del governo espressi da questa Regione – , ma anche in un più forte ancoraggio europeo delle nostre istituzioni e in una più forte cooperazione italo-tedesca. Qui sta il nodo da affrontare più che nella revisione dello Statuto, che pure in alcune sue parti si è resa necessaria dai cambiamenti nel frattempo intervenuti. E contemporaneamente si rafforzi la costituzione materiale internazionale della nostra terra. Si moltiplichino le sinergie in campo di vie di comunicazione (corridoio del Brennero in primo luogo), le cooperazioni in campo sanitario, scientifico, di formazione degli insegnanti, economico, eccetera e si rafforzi la costituzione internazionale materiale dell’autonomia. Chi potrà un domani smontarla?
Ciò non significa ridurre la nostra proiezione internazionale a una sola dimensione. Ci mancherebbe. Il mondo è più grande dell’asse del Brennero. Ma non si scordi questa radice antica oggi tornata decisiva e si abbia l’ambizione grande di portare qui, nel luogo dell’intreccio tra mondo tedesco e mondo italiano, il meglio dei due mondi. Così l’autonomia non sarà una conquista provvisoria, ma una esperienza straordinaria – poter vivere all’intreccio tra due mondi – di cui potranno godere anche le future generazioni.