La discussione sulla presunta costituzionalità dell’Italicum nel quadro di un Senato non ancora riformato fa venire al pettine il nodo del rapporto tra riforma della Costituzione e riforma della legge elettorale che all’inizio dell’anno non fu risolto, ma solo rimosso per poter avviare il processo di riforma. Il progetto originario dell’Italicum prevedeva, come era ovvio, la modifica della legge elettorale per tutte e due le Camere. Poi la parte relativa al Senato fu lasciata cadere per le forti ostilità di chi non amava il modello o forse voleva mettere i bastoni tra le ruote o forse solo voleva tirare tardi. Fu un errore, che in pochi cercammo inutilmente di scongiurare.
È chiaro ed evidente a tutti che, avendo messo mano in modo così radicale alla riforma del Senato, è del tutto sensato impegnarsi a portare a termine quel percorso prima di tornare a votare. È però onesto riconoscere che il cammino di riforma costituzionale è, non solo lungo, ma anche irto di insidie ed è quindi un obbligo istituzionale dei parlamentari, oltre che un loro dovere civile, dare ai cittadini, anche nella malaugurata ipotesi di elezioni anticipate, uno strumento che consenta di votare e di produrre con ragionevoli speranze attraverso il proprio voto una situazione chiara, in cui i ruoli di maggioranza di governo e di opposizione siano ben individuati.
È altrettanto onesto riconoscere che i tempi tecnici e politici per applicare una nuova legge elettorale non sono affatto brevi: servono mesi per disegnare le circoscrizioni e i collegi e mettere a punto il meccanismo; servono mesi per ottemperare alle raccomandazioni del Consiglio d’Europa di non modificare i sistemi elettorali a un passo dal voto, con ciò dando alle forze politiche e ai cittadini la possibilità di prepararsi. Come raccomanda la Commissione di Venezia: “Gli elementi fondamentali del diritto elettorale, e in particolare del sistema elettorale propriamente detto, la composizione delle commissioni elettorali e la suddivisione delle circoscrizioni non devono poter essere modificati nell’anno che precede l’elezione”. Diciamo che dobbiamo avere la legge elettorale almeno 12 mesi prima di nuove elezioni.
Per questo è doveroso procedere immediatamente alla seconda lettura dell’Italicum con le revisioni di cui si è ampiamente discusso (40% per evitare il ballottaggio, soglia del 4-5% per entrare in Parlamento, superamento delle liste bloccate, parità di genere) e ogni tentativo dilatorio è irresponsabile. Occorre però rispondere in modo convincente a chi dice che, approvando l’Italicum per la sola Camera dei Deputati, se andassimo – per disgrazia – a elezioni anticipate prima di aver riformato il Senato, ci troveremmo ad usare un sistema elettorale misto (Italicum maggioritario alla Camera, Consultellum proporzionale – sia pure con soglie alte – al Senato) sospetto di incostituzionalità. Giustamente molti costituzionalisti hanno ricordato come non vi sia in sé nulla di contrario alla Costituzione nell’adottare due diversi sistemi elettorali per le due Camere, ma il punto – naturalmente – non è questo.
Il punto è che la compressione dell’uguaglianza di voto in entrata, che un sistema come l’Italicum mette in atto in determinati casi, si può giustificare solo al prezzo di produrre una maggioranza parlamentare, altrimenti non si capisce perché il voto di determinati elettori dovrebbe pesare meno di altri. Si faccia il caso di una forza politica che raggiunge alle elezioni il 40, 3% dei voti. Con l’Italicum modificato, avendo superato la soglia del 40%, riceverebbe subito, senza ballottaggio, un premio che la porterebbe dai 254 seggi del proporzionale puro ai 340 seggi previsti. Ipotizziamo che quel 40,3 voglia dire 12 milioni di voti: ciò significa che per eleggere un deputato del partito vincente servirebbero circa 35.000 voti, mentre per eleggere un deputato degli altri partiti (ammettendo che tutti oltrepassino la soglia minima) servirebbero 62.000 voti.
Non siamo ovviamente alla sproporzione del 2013 quando il voto del vincitore ha avuto più del doppio del potere del voto del perdente di tradursi in seggi (attenzione: non sul totale nazionale – come può accadere in un sistema come quello inglese, che non contraddice affatto l’uguaglianza del voto – ma nella stessa circoscrizione elettorale!), ma siamo comunque in presenza di una forte disproporzionalità: 35000/62000. Cosa che sarebbe in sé non scandalosa se producesse una maggioranza. Se invece non la produce, diviene problematica. A nulla vale rispondere che il partito vincitore alla Camera potrebbe costruire con facilità una maggioranza al Senato tramite un’alleanza. Questo è argomento politico e non giuridico e ad esso si potrebbe agevolmente rispondere che, con questa logica, anche alla Camera il partito maggiore potrebbe fare lo stesso senza bisogno di un premio.
Dunque la via d’uscita è tornare all’inizio e prevedere un’estensione dell’Italicum (da usarsi solo nel caso di emergenza) anche per l’attuale Senato, con l’accorgimento – già studiato alla Camera in un apposito emendamento – che il premio di maggioranza si attribuisce a una lista o a una coalizione se e solo se supera al primo turno il 40% in entrambe le Camere o se vince il ballottaggio che si tiene se e solo se le prime due liste (o coalizioni) sono le stesse nelle due Camere. In tutti gli altri casi si andrebbe alla Camera e al Senato a una distribuzione proporzionale dei seggi.
Quindi, nel caso, raro ma possibile, in cui gli elettori con il loro voto producano un risultato così eterogeneo da non poter essere risolto nemmeno da un voto di ballottaggio, rimane – come soluzione di emergenza – la distribuzione proporzionale dei seggi e il compito della formazione della maggioranza viene affidato all’accordo tra le forze politiche in Parlamento.
La soluzione, come si vede, è un po’ laboriosa ma almeno è rispettosa del doveroso bilanciamento tra il principio di uguaglianza del voto e il valore della governabilità. E comunque ci si augura di non doverne mai avere bisogno, perché si farà di tutto per giungere alla riforma del Senato prima di arrivare a nuove elezioni.
Ma non si cerchino scuse per non fare subito la legge elettorale. Sarebbe offensivo nei confronti del Paese. E si faccia una legge che dia ai cittadini la possibilità, con il proprio voto, di formare in Parlamento una chiara maggioranza politica.