Oggi sono intervenuto in Aula a nome del Gruppo PD in occasione delle dichiarazioni di voto sulle mozioni relative alle linee della politica europea ed estera dell’Italia alla luce delle recenti emergenze internazionali.
Grazie, Presidente. Mi pare che questa discussione si stia svolgendo anche in modo interessante e forse è anche l’occasione per cercare di contestare quello che viene detto dalle opposizioni, cioè che la nostra maggioranza e il nostro Governo non hanno una politica estera chiara, non abbiamo delle chiare linee guida, procediamo in modo confuso.
A me pare, invece, che in Europa e nel mondo sia molto chiaro quello che l’Italia sta facendo in questo momento. Siamo in uno dei momenti di maggiore difficoltà nel secondo dopoguerra, una crisi dalle dimensioni spaventose, e ci sono due strade davanti: ci sono gli Stati che ripiegano su di sé, rispolverano il nazionalismo, il razzismo, i loro imperi di un tempo, e ci sono degli Stati, come il nostro, che scommettono sull’altra via, sulla via del rafforzamento degli organismi internazionali e della costruzione di una società civile internazionale.
Noi questo lo dobbiamo dire ai nostri cittadini: non crediamo in questo solo per ragioni ideali e morali, ma perché il nostro Paese già una volta nella storia si è incamminato sulla via del nazionalismo e del ripiegamento su di sé, che è stata una grande tragedia.
La seconda questione è che noi abbiamo chiare linee guida, che ci sono date dalla nostra Costituzione, a cui cerchiamo di essere fedeli. Può darsi che sui singoli punti non ci riusciamo, ma le grandi linee della Costituzione sono quelle che fanno da guida a questa maggioranza e a questo Governo (articolo 10 e articolo 11). Le voglio sintetizzare così: la pace attraverso il diritto. È chiara la finalità della nostra politica estera: la costruzione della pace e la giustizia tra le nazioni. Non è solo il rifiuto della guerra, non è solo la lotta contro il terrorismo, ma è la costruzione di un ordine internazionale basato sulla pari dignità di tutti i popoli. Nella nostra Costituzione è detto chiaramente: « a condizioni di parità », non è solo una clausola per contrarre delle obbligazioni, ma è un modello di società in cui noi ci battiamo perché venga rispettata la libertà, la dignità di ogni popolo e di ogni Stato nel mondo, perché possa sedere nella storia del mondo come un protagonista e non come un oggetto di sfruttamento.
Ulteriore questione: la via del diritto. Il nostro è uno Stato di diritto, noi siamo per il Rule of law all’interno e all’esterno, siamo per lo Stato di diritto nei rapporti con i nostri cittadini e siamo per lo Stato di diritto nei rapporti tra le nazioni. L’ha detto chiaramente e non poteva essere più efficace il Presidente Renzi ieri al Presidente Erdogan: altro che scendiletto, noi siamo uno Stato di diritto. Questo lo vediamo chiaramente anche nel modo in cui noi combattiamo il terrorismo: in prima linea, con tutti gli strumenti della cooperazione internazionale, chiediamo delle gestioni comuni dell’intelligence e delle azioni di contrasto, ma al tempo stesso diciamo sempre, anche sulla base della nostra storia, che il terrorismo va contrastato, ma nel rispetto dei diritti umani.
Non è vero che non parliamo su queste materie: abbiamo parlato nei confronti della Francia, quando ha sospeso la Convenzione europea dei diritti umani, abbiamo parlato nei confronti della Turchia, prima del golpe fallito, criticando la sospensione dell’immunità parlamentare, criticando l’uso arbitrario del coprifuoco nelle regioni del sud est, criticando le compressioni della libertà di opinione, ma certamente noi, con i partiti di opposizione presenti nel Parlamento turco, non siamo d’accordo a sovvertire l’ordine democratico e un Governo democraticamente eletto – le cui elezioni sono state monitorate dagli organismi internazionali e anche da noi – attraverso un colpo di mano militare.
E noi dobbiamo riaffermare che il destino dei popoli sta nelle mani delle elezioni e della democrazia, però non accetteremo nessuno sconto sulla base del rispetto delle libertà fondamentali e nei confronti della paventata reintroduzione della pena di morte non dobbiamo limitarci a dire che questo minaccerà i rapporti con l’Unione Europea, ma questo compromette fin da subito l’appartenenza della Turchia al Consiglio d’Europa, avendo la Turchia firmato e sottoscritto il protocollo 13 della Convenzione europea dei diritti umani, che abolisce la pena di morte non solo in tempo di pace, ma in qualsiasi circostanza e noi dobbiamo chiedere il rispetto delle convenzioni internazionali ai nostri amici e ai nostri partner, quindi siamo disponibili ad ascoltare anche i consiglieri del Presidente Erdogan in materia di lotta alla mafia, ma pretendiamo il rispetto della nostra magistratura, che quanto a lotta alla mafia ha versato un contributo di sangue per tutti i cittadini italiani, ma anche per la società civile internazionale.
Sulla questione della Russia, anche qua io vorrei che fossimo chiari se crediamo o non crediamo nel Rule of Law: noi, come Paese, siamo in prima linea a rilanciare il dialogo con la Russia, e non solo per ragioni di convenienza economica, ma perché siamo convinti che per sconfiggere il terrorismo internazionale sia necessaria la cooperazione anche con la Federazione russa. Ancor di più: noi non siamo capaci di concepire un’Europa senza la tradizione russa, senza il contributo russo, e noi vogliamo comprendere e rispettare le buone ragioni che la Russia ha anche sulla scena internazionale e che noi qualche volta forse non siamo stati in grado di capire, ma se noi ci battiamo per la legalità, per il rispetto del Rule of Law, non possiamo dimenticarci che le sanzioni che pure ci penalizzano sono state comminate a livello europeo perché vi è una violazione del diritto internazionale degli accordi di Helsinki del 1975, che prevedono da parte di tutti gli Stati contraenti il rispetto dell’integrità territoriale di tutti i partner, e il problema dell’Ucraina mi sembra che sia un problema a cui noi dobbiamo essere sensibili. Quindi, la scommessa è esattamente quella di continuare in questo lavoro di dialogo, di reciproco riconoscimento delle ragioni dell’altro, ma al tempo stesso di fermezza sul rispetto del diritto internazionale.
E infine, sulla questione della Libia: anche qua c’è un problema di diritto internazionale. La nostra posizione è la posizione delle Nazioni Unite, deliberata all’unanimità nel dicembre del 2015, dunque anche con il consenso della Federazione russa: all’articolo 12, che già è stato citato, si dice che si sollecitano – si sollecitano – gli Stati membri delle Nazioni Unite a prestare rapidamente assistenza al Governo di unità nazionale libica, che noi abbiamo intensamente voluto e che siamo tenuti a sostenere nel rispondere alle minacce alla sicurezza libica e a sostenere attivamente il nuovo Governo nello sconfiggere – defeating – ISIS, al- Sharia, Al Qaeda, eccetera.
Qui non è in discussione la legittimità, anzi, ci sarebbe da ragionare sull’obbligazione che vincola ogni Paese membro a rispondere ad una richiesta del Governo libico di essere assistito nella lotta contro l’ISIS, posto che abbiamo riconosciuto tutti la pericolosità di questo fenomeno. Altra cosa è monitorare, come sempre dobbiamo fare, a partire dal nostro Parlamento, come si sviluppa un intervento militare: questo sì è doveroso da parte dei Parlamenti e delle opinioni pubbliche e in questo senso noi apprezziamo la disponibilità del Governo italiano a riferire costantemente in Parlamento, come già accaduto questa mattina e come ancora accadrà domani.
Quindi – e finisco – la nostra presenza sul piano internazionale si vuole caratterizzare per questa costruzione della pace attraverso il diritto e questo è anche il modo in cui noi stiamo in Europa. Il nostro Governo ha lanciato un’iniziativa a Ventotene: questo è il modo in cui noi vogliamo proporre non solo il meglio della nostra tradizione giuridica, ma quello che è una via per l’Europa, uscita dalla guerra e dai nazionalismi, indicare la via del diritto come la via del rispetto di ogni persona e di costruzione di pace e giustizia per tutti.