Un ricordo di Antonio Megalizzi

 

Il 27 novembre scorso, nella nostra classe alla Scuola di Studi Internazionali dell’Università di Trento, Antonio Megalizzi, assieme ad altri tre suoi colleghi e colleghe del corso, ha presentato il tema “Stato di eccezione”. Il corso era incentrato sul tema “Democratizzare la sicurezza: diritti umani, democrazia, Stato di diritto in un’età di incertezza” e per settimane abbiamo discusso di paura, angoscia, sicurezza, Stato liberale e Stato autoritario, terrorismo, tortura eccetera.

In una bellissima classe di studenti in cui gli studenti italiani si mescolano a quelli di Hong Kong e Montreal, abbiamo non solo letto frammenti di grandi classici ma discusso di convenzioni internazionali e del nostro presente. E così ci siamo interrogati su Boko Haram e Guantanamo e l’Isis intrecciandoli con Machiavelli e Hobbes, Schmitt e Arendt, Neumann e Foucault, nello sforzo di capire che cosa voglia dire “sicurezza” e come uno Stato democratico di diritto possa garantirla ai suoi cittadini. Così si sono intrecciate le storie di generazioni diverse attraversate dagli stessi problemi: la violenza, la paura, gli ideali, la Realpolitik, il diritto e la speranza. Si sono intrecciate la ricerca intellettuale e la passione civile. Vive come non mai.

In questo intreccio Antonio assieme a tante e tanti altri studenti era un protagonista costante, con il suo acume intellettuale, il fiuto politico e la profonda sensibilità civile. Quando abbiamo parlato di terrorismo, inevitabile per la mia generazione pensare alle Brigate Rosse e alla violenza omicida di chi a sangue freddo riusciva a sparare a professori inermi come Vittorio Bachelet sulle scale della sua università o Roberto Ruffilli, nostro professore a Bologna, sul pianerottolo della sua abitazione. E abbiamo ragionato sulla stessa assurda violenza del terrorismo contemporaneo che colpisce gli inermi, scelti a caso tra la folla. Non vi sono cosiddetti “ideali” che possano giustificare questo disperato cinismo.

Domenica scorsa Antonio mi aveva scritto per chiedermi un appuntamento per discutere del suo paper. Lo avevamo fissato la settimana prossima, perché questa settimana, si era scusato, non poteva, era via per lavoro. Una passione europea lo portava a Strasburgo, uno dei luoghi simbolo dell’Europa che cerca di superare la sua storia di violenza politica, la sede del Parlamento europeo e del Consiglio d’Europa tante volte evocati a lezione.

Ai mercatini di Natale di Strasburgo, Antonio è stato colpito da una violenza omicida che, di nuovo, vilmente, si è abbattuta sugli inermi. Nessuno di noi si rende conto di come – non in una discussione in classe, ma dentro la vita – questo gli sia potuto accadere. A lui così appassionato del dialogo, così curioso di capire, così critico nei confronti di una visione strumentale del potere.

A leggere i tanti, familiari e amici, che lo ricordano, si capisce quanto bene abbia dato a chi lo ha incontrato con il suo sorriso, la sua passione e generosità. Anche a noi ha dato moltissimo, nelle discussioni e nelle azioni. Grazie, Antonio.

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