Dopo il risultato delle elezioni e l’elezione dei Presidenti di Camera e Senato ci si chiede se il PD abbia fatto bene a rimanere fuori dalla trattativa.
Il dibattito che si sta sviluppando pare prescindere da considerazioni di sistema e da uno sguardo storico, che forse vale la pena recuperare.
In una democrazia parlamentare la maggioranza di Governo esprime anche le Presidenze delle Camere: il Governo ha bisogno di ricorrere costantemente all’Aula e se avesse Presidenze ostili la sua azione risulterebbe affaticata.
È stata questa la prassi consolidata nella storia del primo periodo della Prima Repubblica caratterizzato da una legge elettorale proporzionale. Dal 1948 al 1976 i Presidenti sono stati sempre espressione dei partiti di governo (DC 1948-1968; PSI 1968-1976) con brevi eccezioni sotto la Presidenza Pertini (1968-1976) quando il centrosinistra si disfaceva e il PSI usciva per poco dal Governo per poi subito rientrarvi. Anche dal 1976 al 1979 in un certo senso la Presidenza Ingrao rientrava in un accordo con la maggioranza di Governo quando il PCI consentì la formazione dei governi Andreotti con il proprio appoggio esterno.
È solo dal 1979 al 1994 (Iotti 1979-1992, Scalfaro 1992, Napolitano 1992-1994) che, a parte la brevissima parentesi Scalfaro, la sola Presidenza della Camera va a un partito di opposizione.
Dopo il 1994 con l’avvento di leggi elettorali maggioritarie, le Presidenze delle Camere sono sempre andate a esponenti della maggioranza di Governo.
L’idea di affidare la Presidenza di una Camera all’opposizione non ha dunque nulla di fisiologico e risponde a una situazione di emergenza: lottare contro il terrorismo e includere il PCI, che non si poteva includere nel Governo, almeno nella gestione delle istituzioni parlamentari. In tempi normali non si capisce proprio a che cosa possa servire questa strategia, se non a creare regimi consociativi.
Se guardiamo a quel confuso periodo della storia repubblicana, dobbiamo riconoscere che il sistema tenne rispetto alla sfida terroristica e alla crisi sociale ed economica ma i prezzi furono piuttosto alti. È esattamente in quel periodo del cosiddetto assemblearismo parlamentare (1979-1994) che il debito pubblico si impennò salendo dal 55% al 115%.
Bene dunque che in tempi normali la maggioranza premiata dalle urne si assuma la responsabilità di presiedere le Camere e, se ne è capace, di formare un Governo.