Signora Presidente, colleghe e colleghi, le pregiudiziali di costituzionalità e di merito che sono state avanzate pongono questioni fondamentali a cui è doveroso, almeno, tentare di rispondere nel giro di pochi minuti. La prima questione sollevata da più parti ha a che fare con l’uguaglianza del voto che riguarda la cosiddetta problematicità del premio di maggioranza. Ora, ciò che la Corte ha chiaramente individuato come inaccettabile nella legislazione preesistente è l’attribuzione di un premio in un’elezione a turno unico, senza l’individuazione di una soglia minima da raggiungere, cosa che potrebbe portare forze che raggiungono magari il 20 per cento a conseguire il 54 per cento dei seggi in Parlamento.
Rispetto a questo rischio, la riforma prevede, però, la fissazione di una soglia minima al 40 per cento per l’attribuzione del premio, cosa che esclude premi abnormi e fissa il massimo di un 14 per cento di quota premiale. Si noti che la dimensione di questo premio è tendenzialmente inferiore a quella che si produce in altri sistemi maggioritari europei, come quello inglese o quello francese, e non è affatto diversa da quella che negli anni Novanta si produceva con il Mattarellum, che dava la stessa maggioranza parlamentare a coalizioni che avevano conseguito il 41-42 per cento dei voti, con la differenza che, nel caso del Mattarellum, ci poteva essere una difformità tra il numero di voti effettivamente conseguiti sul territorio nazionale e il numero di collegi vinti.
Questo sistema, invece, attribuisce il premio di maggioranza alla lista che consegue il maggior numero di voti su tutto il territorio nazionale. Se non si raggiunge la soglia prevista, viene introdotto un voto di ballottaggio. Anche su questo punto abbiamo sentito delle critiche che non sono fondate. Vi è stato chi ha detto che il problema è l’attribuzione del premio a un partito che al primo turno può conseguire un risultato modesto (il 20 per cento) e che, vincendo al secondo turno, può vedere aumentata la sua forza in modo abnorme, ma con ciò si nega il fatto che il ballottaggio è, a tutti gli effetti, un secondo voto in cui si conquista effettivamente la maggioranza assoluta dei consensi e si rafforza la possibilità decisionale dell’elettore, che, dopo una seconda campagna elettorale, un secondo serrato confronto tra le opzioni prevalenti, viene chiamato con il suo voto a determinare l’indirizzo politico. A chi ritiene che il ballottaggio possa venire usato solo per eleggere una persona e non un indirizzo di Governo, basti ricordare il tanto decantato sistema francese, dove viene utilizzato per costruire appunto un assetto di Governo e un chiaro indirizzo politico.
Considerazioni ancora si devono fare per quanto riguarda l’elezione diretta da parte del cittadino dei propri rappresentanti. Anche in questo caso la Corte costituzionale ha condannato l’uso di liste bloccate costruite in modo da non consentire all’elettore di riconoscere con chiarezza il candidato a cui andrebbe il proprio voto, ma nel caso della riforma, la soluzione proposta – naturalmente si può discutere dal punto di vista politico –, però, soddisfa chiaramente il diritto dell’elettore di vedere con chiarezza il candidato che il partito propone come capolista in un collegio, di accettarlo o di rifiutarlo votando un altro partito, di affiancarlo con altri candidati, esprimendo preferenze anche tenendo conto della differenza di genere. A nessuno può sfuggire che il problema chiave per la selezione di una classe politica di livello degno di questo nome non sta tanto nell’uso o meno delle preferenze combinate con i collegi, ma nel disciplinare con legge l’articolo 49 della Costituzione, disciplinando così il modo in cui i partiti propongono agli elettori i loro candidati.
Infine, si mette in discussione che questa proposta di legge contrasti con l’articolo 1 della Costituzione perché svuoterebbe la sovranità popolare. Abbiamo sentito evocare la legge Acerbo, ma per chi conosce il cammino così faticoso delle riforme elettorali ed istituzionali ricordiamo che sono trent’anni che questo Paese sta cercando faticosamente di uscire da una democrazia che funziona male per approdare ad una democrazia matura, attraverso un meccanismo individuato già nella Commissione Bozzi, che prevedeva esattamente la possibilità per il cittadino di votare non solo per il partito ma per un chiaro indirizzo di Governo.
Respingendo questo voto sulle pregiudiziali e poi votando a favore della legge elettorale noi non rinunciamo alla nostra coscienza, ma riprendiamo questo cammino di riformatori, iniziato trenta anni fa, che vuole potenziare e non diminuire la sovranità popolare.