Signora Presidente, Ministro, Colleghe e Colleghi Deputati,
nell’amplissima discussione che accompagna ormai dall’inizio della legislatura i tentativi di riforma costituzionale, ora culminati nel presente disegno di legge costituzionale di cui discutiamo, un punto, a mio modo di vedere davvero cruciale, continua a venire largamente ignorato o se non altro largamente sottovalutato.
Ed è invece un punto fondamentale che se tenuto presente potrebbe forse aiutare a sdrammatizzare da un lato qualche preoccupazione, dall’altro a renderci consapevoli della reale portata della sfida presente, che non è affatto riducibile al dilemma conservazione/modernizzazione.
Il punto è l’orizzonte costituzionale europeo dentro cui ormai da molti anni si situa il nostro ordinamento.
Se osserviamo da questo orizzonte la discussione attuale, essa manifesta dei tratti piuttosto ideologici e astratti: per certi versi si discute di costituzionalizzazione del potere politico nell’Italia del 2014 come se nulla fosse cambiato dal 1948.
Ora, la grande lezione del costituzionalismo moderno – e mi verrebbe da dire proprio di quello più impregnato di cultura storica come quello italiano e tedesco – è che chi vuole difendere la grande triade dei diritti umani, dello Strato di diritto e della democrazia – per restare fedele ai tre pilastri della civiltà europea così come affermati e custoditi dal Consiglio d’Europa – deve operare uno sforzo costante di “costituzionalizzazione” del potere politico che – nella situazione storica data – è concretamente operante entro una società.
Ora, se ci chiediamo se il potere politico, chiamiamolo pure col suo nome: il potere sovrano, concretamente operante oggi in Italia sia lo stesso del 1948, la risposta è evidentemente “no”. Nel 1948 si trattava ancora – almeno in larga parte – del potere sovrano di uno Stato nazionale moderno e cioè di un’entità quasi a sé stante a fianco di altre entità parimenti sovrane. Nel 2014 si tratta di un potere ormai definitivamente articolantesi su livelli diversi, da quello nazionale a quello europeo. Si pensi alla classica triade del potere: nel 1948 un legislativo, esecutivo e giudiziario, tutti solidamente radicati e verrebbe da dire esauriti sul territorio nazionale. Nel 2014 un potere legislativo in gran parte nelle mani delle istituzioni europee (Parlamento e Consiglio), un potere esecutivo che si articola in un Governo nazionale e in uno europeo (Consiglio e Commissione), un potere giurisdizionale affidato ad un insieme di Corti sovranazionali come la Corte di Strasburgo e di Lussemburgo che si accompagnano alla nostra Corte Costituzionale dando vita a ordinamenti giuridici e ad amministrazioni della giustizia sempre più integrate.
Dovrebbe essere pacifico a chiunque che se la sfida di ogni Stato democratico di diritto è quella di costituzionalizzare il potere concretamente esistente e insistente sul proprio territorio e sui propri cittadini, allora la sfida oggi è quella di costituzionalizzare un potere che si esprime su livelli ormai plurali. E dunque è dentro questa società articolata su più livelli che dobbiamo stabilire granitiche tutele ai diritti fondamentali, trovare gli adeguati bilanciamenti tra i poteri, e inventare istituti e strumenti capaci di rendere sovrana la volontà popolare. Quella è l’orizzonte della sfida costituzionale per eccellenza e non quello antico, tutto nazionale, del confronto tra poteri interni. E la discussione odierna non soffre forse di questo inguaribile provincialismo per cui tutto sembra ledere le prerogative dell’uno o dell’altro organismo, come non fosse vero che da cinquant’anni a questa parte noi stessi abbiamo costruito – in condizioni di parità con altri Stati – ordinamenti e istituzioni sovranazionali a cui abbiamo consegnato parte della nostra sovranità.
I Padri costituenti avevano costituzionalizzato un potere che era potere nazionale, ma ben consapevoli della potenziale deriva distruttiva e dunque anticostituzionale delle chiusure nazionalistiche – e consapevoli anche delle dinamiche ormai internazionali dei poteri materiali e spirituali – hanno inserito quella straordinaria clausola di autotrascendimento del sistema stesso che è rappresentata dalla previsione dell’art. 11 “L’Italia consente, in condizioni di parità con altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.
Se solo si guarda al processo legislativo europeo – che ormai interessa una percentuale assai significativa della legislazione che regola la nostra vita collettiva – come non cogliere che tale processo è il frutto di un’azione congiunta di Parlamento europeo e di Consiglio intergovernativo? Ed allora se il Governo nazionale gioca un ruolo così importante nella definizione della legislazione europea, non è forse essenziale conferire ad esso un più forte ancoraggio nella volontà dei cittadini? E pensare di operare oggi un bilanciamento tra i poteri del Governo e del Parlamento avendo in mente il solo orizzonte nazionale e non quello europeo non è forse operazione astratta e a rischio di una qualche sterilità?
Il grande tema della costituzionalizzazione del potere oggi è come la volontà dei nostri cittadini possa farsi legislazione europea e dunque il punto è come dare maggior forza in quella sede – senza nulla togliere alla sede nazionale – alle nostre rappresentanze in sede al Parlamento europeo e al Consiglio, e dunque al nostro Governo affinché possa porsi come attore autorevole alla pari degli altri sulla scena internazionale, per poter essere soggetto e non oggetto delle decisioni collettive. Insomma, per poter esercitare la sovranità popolare di cui all’art. 1 Cost. nelle diverse sedi in cui si esercita oggi il potere sovrano.
Per questo, non solo nell’ordinamento, ma nella cultura e nella coscienza costituzionale si dovrebbe assumere con più chiarezza il tema delle relazioni tra livello nazionale e livello europeo. Ciò dovrebbe portare, da un lato, a una puntuale e sistematica messa a fuoco nel testo costituzionale di tutta la materia delle relazioni tra l’Italia e l’Unione Europea, dall’altro, a inquadrare anche la riforma della legge elettorale in questo orizzonte. Perché è proprio la partecipazione del Governo alla funzione legislativa a livello nazionale e soprattutto europeo che richiede un suo forte radicamento nella volontà dei cittadini e non nella trattativa tra i partiti. Non sfugga dunque nella discussione questa connessione sistemica tra riforma costituzionale e riforma della legge elettorale nell’articolazione del potere sovrano sui due livelli, nazionale ed europeo.