Sarebbe davvero paradossale se dopo la formazione del nuovo governo, si dovesse ulteriormente impedire al Parlamento di dare subito al Paese una nuova legge elettorale. L’intervento della Corte, giunto dopo mesi di insopportabile inazione del legislatore, è stato sufficientemente umiliante. Temporeggiare ancora indurrebbe i cittadini a pensare che gli attuali parlamentari sono o del tutto incapaci di giungere a un dignitoso accordo (e quindi meritevoli di essere immediatamente sostituiti) o così attaccati alla loro poltrona dall’essere terrorizzati dal rischio che una nuova legge elettorale possa anticipare la fine della legislatura (e quindi ancor più meritevoli di essere immediatamente sostituiti).
Quanti tra i deputati vogliono difendere la loro dignità e il loro ruolo istituzionale dovrebbero esercitare da subito una formidabile pressione perché il cammino della riforma della legge elettorale giunga al più presto a compimento.
Per questo occorre ripartire dall’intesa raggiunta sul cosiddetto Italicum. Si tratta di un’intesa sottoscritta da forze di maggioranza e di opposizione, come dovrebbe essere per ogni buona o accettabile legge elettorale, e solo pensare di azzerare tutto e ripartire da capo fa venire i brividi, perché per anni si è cercato in tutti i modi un’intesa su altri modelli e si è fallito. Ora che un’intesa è stata trovata, per quanto il modello possa essere migliorabile, non si capisce davvero perché si dovrebbe distruggere quanto costruito.
Senza pregiudicare l’intesa politica raggiunta ma semmai allargandola, vi sono chiaramente punti che possono e devono essere migliorati: la soglia per accedere al premio di maggioranza; le soglie per essere rappresentati in Parlamento; la possibilità per i cittadini di scegliere i propri rappresentanti; una effettiva parità di genere. Sono tutti temi delicatissimi e importanti, ma nessuno di questi può essere agitato in modo strumentale per ritardare l’approvazione della legge o peggio per impedirla.
Rimane la questione del legame tra legge elettorale e riforma delle istituzioni. È chiaro a tutti che il modello dell’italicum, basato su un premio di maggioranza di coalizione con doppio turno eventuale, applicato a un sistema bicamerale con diverse platee di elettori può produrre in qualche caso maggioranze disomogenee tra Camera e Senato. Ma per scongiurare questa eventualità – in attesa della auspicata riforma del Senato che comunque dovrebbe arrivare prima delle prossime elezioni – si può prevedere che il premio di maggioranza venga attribuito solo nel caso in cui sia una stessa lista o una stessa coalizione a risultare vincitrice in entrambe le Camere. Ciò vuol dire che 1) se una stessa lista o coalizione supera la soglia (oggi concordata al 37%) nelle due Camere al primo turno riceve il premio di maggioranza; 2) se ciò non avviene, le due liste o coalizioni che hanno ricevuto il maggior numero di voti vanno al ballottaggio e se una stessa lista o coalizione risulta vincente nelle due Camere, riceve il premio. In tutti gli altri casi (compreso il caso in cui al primo turno siano tre le liste o coalizioni che si qualificano in una delle Camere al primo o al secondo posto) il premio non viene attribuito e i seggi, nelle due Camere, vengono assegnati col riparto proporzionale.
In questo modo si eviterebbe la contraddizione di un premio di maggioranza distribuito nelle due Camere a liste o coalizioni diverse, cosa che – nel caso in cui il premio venisse attribuito in una sola camera a una formazione politica indisponibile ad allearsi con altri – potrebbe renderebbe impossibile la governabilità. Quindi, nel caso, raro ma possibile, in cui gli elettori con il loro voto producano un risultato così eterogeneo da non poter essere risolto nemmeno da un voto di ballottaggio, rimane – come soluzione di emergenza – la distribuzione proporzionale dei seggi e il compito della formazione della maggioranza viene affidato all’accordo tra le forze politiche in Parlamento.
In questo modo la legge elettorale sarebbe pienamente utilizzabile anche nel malaugurato caso in cui l’auspicata riforma del Senato non dovesse giungere a compimento.
Il posticipare invece l’approvazione della legge elettorale al superamento del bicameralismo sarebbe un errore politico grave. Una proposta di questo genere ingenera, al di là delle intenzioni, il sospetto non solo che si voglia ancora una volta prender tempo per cambiare la legge elettorale, ma che non la si voglia proprio fare.
Se il premier accettasse questa proposta, come ha ben argomentato Franco Monaco su Europa, concederebbe ai potenziali sabotatori della riforma una formidabile arma di ricatto: benché tutti a parole dicano che il Senato va riformato, i trent’anni di fallimenti in materia di riforme istituzionali dovrebbero aver sufficientemente dimostrato che si tratta di un cammino irto di insidie. I parlamentari che volessero “durare” potrebbero limitarsi a non fare nulla e sabotare le proposte di riforma sia istituzionale che elettorale. Su questa linea il governo si priverebbe di ogni possibile autentica energia riformatrice e si consegnerebbe al rischio dell’eterna palude italiana. Al contrario: se viene fatta immediatamente la legge elettorale, il premier potrebbe dire al Parlamento: “Se volete durare, dovete fare qualcosa”. Ossia, appunto, portare a termine il cammino delle riforme.
Michele Nicoletti