Caro Segretario, Rappresentanti delle forze politiche, Democratiche e democratici del Trentino,
permettete anzitutto che ringrazi quanti hanno sottoscritto la mia candidatura alla segreteria provinciale del Partito Democratico del Trentino, quanti la hanno in forme diverse sostenuta, quanti hanno accettato di far parte delle liste dei “democratici insieme” presentate per l’elezione della nuova assemblea provinciale.
Non è un ringraziamento di rito, perché se posso ora prendere la parola come candidato è perché iscritte e iscritti al Partito Democratico mi hanno conferito questo potere. Ciò che sembra solo una noiosa pratica burocratica, quella delle sottoscrizioni delle liste, contiene in sé l’idea politica che sta alla base del nostro ritrovarci, l’idea che ogni frammento di potere pubblico per piccolo che sia non è un potere che un uomo o una donna possano darsi da sé, ma è sempre un potere che essi ricevono da altri. In democrazia i titolari del potere politico non sono che rappresentanti, temporanei depositari di un potere di altri e dunque responsabili in ogni momento del suo esercizio. Come recitava la Dichiarazione dei diritti della Virginia, una delle madri delle nostre carte costituzionali: «Tutto il potere è nel popolo, e in conseguenza da lui è derivato; i magistrati sono i suoi fiduciari e servitori, e in ogni tempo responsabili verso di esso».
Quest’idea della sovranità del popolo, della sovranità delle donne e degli uomini che lo compongono, è l’idea base della democrazia ed è la passione per questa idea che ci ha portato qui a costruire un Partito che nel suo nome si chiama semplicemente “democratico”. Perché è già molto, forse in politica è già tutto, realizzare questa forma del vivere insieme di persone che si vogliono libere e si riconoscono uguali nelle loro differenze e cercano di vivere nella pace e secondo giustizia.
La costruzione di società sempre più e sempre meglio democratiche non passa solo dalle nostre mani. È una cosa più grande di noi in tanti sensi. Perché è una cosa cominciata secoli fa e non due anni fa. Perché è una cosa che abbraccia popoli interi e il movimento democratico è – oggi diciamo per fortuna – un movimento internazionale e non certo un’invenzione italiana. Perché è una cosa che coinvolge altre forze politiche e non solo la nostra. Perché infine si gioca – forse assai più che nelle vicende dei partiti – nel lavoro e nell’impegno quotidiano di donne e uomini, di giovani e anziani che nei posti di lavoro e nei rapporti personali lottano per il riconoscimento dei diritti di tutti. Sono queste le “formiche democratiche”, le instancabili artefici di quella cosa che chiamiamo democrazia e che non sta in piedi da sola, mai, ma solo e sempre grazie all’impegno e al sacrificio delle persone che dopo aver provveduto al proprio lavoro e alle cure familiari trovano il tempo e le energie per fare qualcosa per il proprio Paese. E non smettono di farlo anche quando – e ciò accade spesso – le istituzioni, i partiti, i gruppi organizzati allentano la presa, si appannano e non sostengono come dovrebbero, come potrebbero, lo sforzo di costruzione del tessuto democratico. Senza queste lotte non avremmo la democrazia che abbiamo e per questo siamo orgogliosi che nella nostra storia si raccolgano le tradizioni di quanti hanno lottato per un più di libertà e di giustizia. Il problema non è quello di inventarci che cosa sia la democrazia, ma di darle un contenuto, di farla realtà nell’oggi per tutti. Il problema è semmai quello della nostra inadeguatezza rispetto a questo ideale, rispetto all’impegno che esso richiede. E ieri abbiamo avuto una sgradevole dimostrazione di questa inadeguatezza quando le assenze di diversi nostri parlamentari hanno consentito l’approvazione di uno scudo fiscale contro cui nei giorni precedenti abbiamo gridato allo scandalo. Verrebbe da dire non solo che ogni paese ha il governo che si merita, ma anche che ogni opposizione ha il governo che si merita. Il paese si aspetta qualcosa di diverso da noi, si aspetta che noi ci rimbocchiamo le maniche e ci mettiamo a lavorare e dimostriamo di avere la serietà che oggi è richiesta nella vita personale e sociale a chi è titolare di un potere pubblico.
Quest’idea di democrazia, come potere dei cittadini che si auto-governano, è quella che abbiamo scelto di incarnare non solo nella vita del nostro paese, ma anche nella vita del nostro partito. Dopo un mese di incontri e di votazioni nei circoli e di fronte alla prospettiva di altri venti giorni di presentazioni e discussioni fino al voto del 25 ottobre, ci chiediamo se tutto ciò non sia sproporzionato rispetto all’obiettivo che ci prefiggiamo, ossia quello di rinnovare gli organismi interni di un partito. Se il dubbio riguarda le modalità, è certamente lecito e il futuro ci dirà che cosa dovremo ripensare per rendere più efficiente e lineare il percorso. Ma se il dubbio riguarda lo sforzo di democratizzare al massimo la vita interna del partito, allora questo dubbio va rimosso con forza. Stiamo facendo una cosa importante non solo per noi ma per il paese, perché stiamo dando piena attuazione all’articolo 49 della Costituzione italiana che recita: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». L’espressione “metodo democratico” non può essere interpretata in modo riduttivo, come se essa riguardasse solo i rapporti esterni tra i partiti, la democrazia elettorale, essa deve riguardare anche la vita interna dei partiti per evitare che il potere di decisione del cittadino vada vanificato. È questa struttura democratica e aperta del partito che stiamo costruendo ed essa va rafforzata da parte nostra non solo con gli strumenti della democrazia interna aperta ai nostri elettori, ma anche con l’apertura di un dialogo con gli elettori di altre forze politiche, penso ad esempio a quelli dell’area ambientalista e della tradizione socialista.
La storia dei democratici del Trentino non è cominciata con noi. Se il PD del Trentino ha saputo riscuotere la fiducia di molti elettori che lo hanno fatto essere il primo partito del Trentino, è perché la sua storia si inscrive nella storia di questa terra. A Katzenau, nel campo di prigionia in Austria, dove durante la Prima Guerra mondiale sono deportati trentini politicamente sospetti di ogni orientamento, comincia a forgiarsi, al di là dell’aspra dialettica, un’unità più profonda. Romano Joris, che è l’autore del testo della canzone, aveva aperto nel campo un “caffè” dove «clericali, atei, liberali, tutti fratelli su nemica terra parlavan della Patria sanguinante».
Sarebbe importante in questo momento di rivisitazioni storiche, ricostruire la storia unitaria dei democratici trentini: dall’opposizione antifascista alla collaborazione nel primo dopoguerra, dal riformismo degli anni Sessanta alle lotte sociali e studentesche degli anni Settanta, all’impegno per la riforma della politica e la solidarietà internazionale negli anni ’90.
E da queste memorie, che non dobbiamo stancarci di custodire e di raccontarci, potremmo ricavare i motivi che ci uniscono:
– l’amore per la libertà che è alla base della nostra autonomia. La metafora della “magnadora” non solo è sbagliata sul piano dell’etica politica perché le risorse pubbliche non si possono distribuire a seconda della convenienza elettorale, non solo è sbagliata sul piano della teoria politica, perché il rapporto tra governanti e governati è un rapporto tra uguali e non tra diversi come nel caso del pastore e delle sue bestie (anzi: si dovrebbe dire che il padrone è il cittadino), ma è sbagliata anche sul piano della zoologia politica, perché il simbolo del Trentino è l’aquila e non la pecora.
– il valore del lavoro. Perché è solo il lavoro umano che sa trasformare la materia in fonte di vita, il fango in case, la pietra in opera d’arte, la semplice speranza di giustizia in concrete leggi e istituzioni. E ciò che è semplicemente intollerabile è che, dopo secoli di lotte per il riconoscimento del valore del lavoro umano, culminate nel nostro paese nella proclamazione di una repubblica che si dice «fondata sul lavoro», il lavoro umano torni ad essere considerato poco o nulla, tornino a valere le appartenenze sociali e i privilegi, le rendite e il parassitismo, la furbizia e l’apparenza.
– il bisogno e il gusto del far le cose insieme che sta alla base delle antiche comunità e dello spirito cooperativo: le nostre tradizioni di autogoverno hanno sempre concepito la democrazia non è come l’elezione di un capo che guida l’orda alla battaglia, ma come il sedere assieme in un consiglio, lo stabilire regole comuni, il giudicare assieme dopo aver ascoltato e l’una e l’altra parte. Perché nelle cose di tutti la ragione non è mia o tua ma qualche cosa che si cerca di ritrovare assieme nel dialogo comune e poi nella decisione che vincola tutti.
– il ripudio della guerra “maladeta” e della violenza: e sarebbe bello che in tanta rivisitazione odierna delle tradizioni autonomistiche ci si ricordasse anche degli autonomisti nonviolenti come Valentino Chiocchetti, esponente del CLN e poi dell’ASAR, in contatto con il nonviolento Aldo Capitini.
– la solidarietà nei confronti di chi ha bisogno: e di questa solidarietà la storia di questa terra è ricca di esempi e non accetteremo che prevalga il razzismo e la chiusura, l’indifferenza contro chi è nel bisogno.
– un’etica della gestione della cosa pubblica che è scolpita da secoli nelle nostre carte e che forse noi abbiamo dimenticato. Prendo tra i molti un esempio contenuto nelle Carte di Regola di Vigolo Vattaro di qualche secolo fa, dove si legge che i regolani devono governare e giudicare il comune con buona fede e senza frode, giustamente, secondo la loro intelligenza e conoscenza, e devono fare tutte le altre cose pertinenti al loro ufficio «senza rispetto alcuno d’humano amore, pregheri, precio, amicizia over inimicizia, over altra humana passione».
Tutto questo ci fa dire che i democratici trentini vengono da lontano. E ci fa capire che non siamo qui per caso.
Questi valori vanno oggi coniugati alla responsabilità di governo che abbiamo e al momento storico che attraversiamo. Il governo dell’autonomia ha saputo realizzare qui una qualità della vita che ci è da tutti in Italia invidiata, investimenti nella formazione e nella ricerca, provvedimenti a favore delle imprese e del lavoro che non hanno uguali. Di questo impegno e di questi risultati dobbiamo essere orgogliosi e grati al presidente della provincia e agli assessori che lavorano con lui e la prima responsabilità del primo partito è quella di sostenere con tutte le proprie energie l’azione del proprio governo al servizio della nostra comunità. È questa comunità che oggi ci chiede di usare gli strumenti del governo nei prossimi quattro anni non solo per fronteggiare gli effetti di una stagnazione economica che potrebbe durare l’intera legislatura, ma anche per innovare il nostro sistema: il sistema economico in cui la produttività del lavoro è ancora insoddisfacente, il sistema sociale in cui perdurano disuguaglianze e povertà che non possiamo ignorare, il sistema della formazione e della ricerca che non può accontentarsi di essere tra gli ottimi in Italia ma ha da competere sul più ampio mercato internazionale, il sistema di tutela e valorizzazione del patrimonio ambientale su cui ancora molto si può fare, il sistema istituzionale in cui occorre riequilibrare un’eccessiva centralizzazione del potere.
Abbiamo bisogno di ritrovare il riformismo degli anni ’60, quando grandi intuizioni politiche seppero portare una provincia marginale come la nostra al livello delle più sviluppate aree del nostro paese.
Oggi dobbiamo ripetere questa sfida riformista e porci l’obiettivo di portare il Trentino al livello delle più sviluppate aree dell’Europa. L’obiettivo è chiaro: fare del Trentino nei prossimi quattro anni una società di livello europeo per qualità della vita, dell’ambiente, del riconoscimento dei diritti, dell’efficienza della pubblica amministrazione. Perché la società trentina possa camminare di più sulle proprie gambe quando le risorse finanziarie dovessero essere ridotte. Abbiamo la responsabilità grave di fronte alle nuove generazioni di non consegnare loro questa terra in una condizione peggiore di quella che a noi è stata data: quanto a qualità dell’aria, dell’acqua e del cibo, quanto a possibilità di cultura e di lavoro, quanto a convivenza pacifica e giusta tra etnie diverse.
Per una società di livello europeo abbiamo bisogno di una politica di livello europeo. E cioè di una politica che costi meno e renda di più, una politica più seria, fatta di fatti prima che di parole, fatta di studio dei problemi e di persone disposte a formarsi prima di esercitare una responsabilità pubblica. Una politica che dia spazio al merito e non all’appartenenza, alla fedeltà a questo o a quel capo.
Care democratiche e democratici del Trentino, questa riforma della politica dobbiamo farla a partire da noi stessi. Dobbiamo tornare a mettere al centro i bisogni e le speranze delle persone ed esigere da noi stessi una qualità più alta di impegno politico.
La storia dei democratici trentini ci ha dato grandi testimonianze di questa qualità più alta, di questa capacità di darsi dimenticando se stessi. Penso al sacrificio di Gian Antonio Manci che si getta dalla finestra per non rivelare alla Gestapo i nomi dei propri amici e compagni antifascisti. Penso alla lezione di Nino Andreatta che ripeteva ai suoi collaboratori al governo: “Ma noi vogliamo che le cose accadano o vogliamo prendercene il merito?”. E ognuno di noi potrebbe moltiplicare il ricordo di esempi di democratiche e democratici che hanno saputo testimoniare una qualità più alta di impegno politico. Cerchiamo di esserne all’altezza.
Intervento di Michele Nicoletti alla convenzione del PDT – 4 ottobre 2009
Una risposta a “Trento, 4 ottobre 2009: intervento alla convenzione”
spero in un futuro dove non sarà necessario dichiarare ogni piè sospinto riferimenti etici e valoriali, non sarà più necessario perchè ci sarà una pratica diffusa, contaminante e contagiosa dei princìpi stessi.
grazie michele
…me sa che ghe sarà en giro anca spore de segnabrise ma magari per allora saranno estinte…sperar no costa gnent!